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Fuori dalle rotte
commerciali, con pochi abitanti e senza il turismo di massa che
altre isole conoscono, Alicudi conserva ancora tutto il suo fascino
naturale. Chi arriva ad Alicudi s'immerge in una dimensione di vita
ormai altrove perduta. Qui persino le grandi cernie non sono
diffidenti e si fanno osservare senza ritrarsi. La risacca del mare
e lo stormire del vento sulla vegetazione sono gli unici suoni. Data
la particolare conformazione del terreno, mancano del tutto strade o
viottoli carrozzabili e, pertanto, anche le auto, i motorini e le
biciclette. Per affrontare le scalinate di pietra lavica, che
s'inerpicano dappertutto, ci si affida ai propri piedi ed ai
simpatici asinelli che sono allevati sull'isola e soppo
rtano
il peso di merci e bagagli dal porto alle case sparse sul pendio.
Niente discoteche, pizzerie, tavole calde, birrerie, boutiques,
barbieri, paninoteche e sale giochi, solo un albergo bar ristorante,
due negozi di alimentari e una rivendita di giornali e prodotti
artigianali: ma è un luogo incantevole dove rifugiarsi e assaporare
una vacanza diversa. L'antico nome di Alicudi è Ericusa,
dalla presenza sull'isola dell'erica, pianta che abbonda ancora
sulle pendici e nelle valli inaccessibili del cono vulcanico oggi
spento. La base del vulcano si sviluppa a partire da 1500 m. sotto
il livello del mare per raggiungere i 675 m. del Monte Filo
dell'Arpa. L'isola è la più occidentale delle Eolie, la
prima che le imbarcazioni provenienti da Palermo o da Ustica
incontrano. Per questo, anche se aspra e isolata e nonostante la
totale mancanza di insenature e ripari per ormeggiare, è stata un
punto di riferimento per i navigatori dell'antichità. Abitata sin
dalla preistoria ed in età ellenistica, conserva qualche memoria del
passato nei resti di un insediamento della prima età del bronzo, XVI
e XVII a.C., che si estendeva vicino allo scoglio di Palumba. Sulla
costa orientale dell'isola si trovano sparsi frammenti ceramici di
età romana, forse resti di qualche naufragio. Alicudi, come le altre
isole, ha subito secoli d'incursioni piratesche con razzie sia di
quel poco che i poveri abitanti ave-vano sia delle stesse persone
vendute come schiavi. Il terrore di queste "visite" portò gli
abitanti alla fuga e rese Alicudi quasi disabitata per tutto il
medioevo, sino al 1600. A testimonianza di queste tragedie rimane
"Il timpune delle femmine", nome dato ad una zona
scoscesa, difficilmente raggiungibile, dove si nascondevano le donne
e i bambini durante le in-cursioni di predoni e corsari. Il
ripopolamento, posteriore al 1600, ha portato nell'isola un numero
molto esiguo di patronimici cosicché, a causa di ma-trimoni tra
parenti, è diventato molto difficile distinguere l'appartenenza di
ciascuno al proprio gruppo originario. Da ciò il ricorso alle così
dette ingiurìe, soprannomi che permettono
l'identificazione delle singole famiglie nella moltitudine di
"Taranto", "Russo" e pochi altri: cognomi della famiglia dei "cavaddi"
(cavalli, per l'altezza di uno degli antenati), dei "mustazzoni"
(dai baffi di un bisnonno), dei "iatti" (i gatti), dei "friscaleddu"
(il fischiatore) sono alcuni dei nomignoli che mettono una nota
colorata e allegra nel parlare locale. La popolazione, che
attualmente non raggiunge le 150 anime, superava i 1200 abitanti
all'inizio del secolo, prima delle grandi emigrazioni verso
l'America e l'Australia. Sfruttava intensamente il suolo, riuscendo
addirittura ad esportare parte della produzione di olio e di
capperi. Un'opera impressionante di terrazzamenti con muri a secco e
una rete stradale di mulattiere a scalinate testimoniano, tuttora,
l'attività e l'organizzazione di questa comunità essenzialmente
contadina, i cui insediamenti principali erano siti in montagna,
nelle vicinanze delle zone coltivate. Come nelle altre isole, la
maggiore difficoltà dello sviluppo dell'agricoltura era legata alla
mancanza di sorgenti. Il problema dell'acqua, esclusivamente
piovana, era stato risolto grazie ad un sistema molto elaborato di
raccolta delle acque e di cisterne: ogni casa ha ancora la propria,
spesso anche più di una. Se ne possono trovare alcune, dislocate nei
campi, che erano alimentate dai pochi torrenti che si formano
durante le piogge. Gli abitanti, detti arcudari,
sono noti per la loro forza fìsica, "colossi" gentili dediti alla
pesca e all'agricoltura che oggi hanno un po' tralasciata, come
mostrano i terrazzamenti incolti invasi dalla macchia mediterranea,
per dedicarsi ai turisti che sempre più numerosi scelgono questo
luogo da eremiti.